torna la rubrica che traccia il profilo dei padri nobili del nightmare team
sarebbe banale presentare l'odierno personaggio con una sintetica scheda anagrafica: i più attenti cultori della materia potranno, tra le righe di questo suo scritto (tagliato per esigenze redazionali, vale a dire per evitare la censura di qualche trifolazebedei), carpire l'identità del Nostro
"Il vino che sorride
Io guardo le mie colline e ne sorseggio sovente il vino per non dubitare dei miei maestri. (…) Penso intenerito ai padri ligustini in viaggio verso occidente dalle stesse colline dove ha preso terra Noè, inventore del mosto; ai padri galli con la testa piatta; e alla propaganda romana che vorrebbe darla a intendere sulle esportazioni di viti in Europa. (…)
L'amico oltrepadano di mio padre ha già fatto vendemmia. (…) Tra poco nella sua casa di Canneto mangeremo salame trasudante lievissimo untume da fette precise e compatte; ravioli galleggianti nel brodo che occhieggia verde-oro grasso di cappone e biancostato; manzo brasato odoroso di aglio e di tenere cipolline; grana di Lodi con la goccia; uva verderea; dolce di pasta frolla. Sotto di noi, al ritorno, le rade luci della sera tremolanti nella pianura che ormai biancheggia di nebbia. E là prima solenne inciuccatura con gli anziani: ho dunque avuto un'altra promozione. (...)
Quando emigri, hai spesso nostalgia di mandorlati pieni rotondi, dai quali ti risvegli senz'aver cerchi alla testa; di moscati con pane e salame che anticipano la scoperta più raffinata ma piuttosto facile dei Sauternes con i patés. Se rientri al paese dirimpetto alle colline, idealizzi a tua volta il vin finu di Zeno Bergamaschi e Pipìn Brambilla, che è così pieno da allagarti le papille con strane sensazioni di acini vellutati di cera.(…)
Orgoglio d'un uomo è bere e capire sempre quel che si faccia, non solo bevendo. Prima attraversi a nuoto il Po traditore e la tribù ti promuove a vir in potenza. Ma sarai vero uomo se saprai bere mantenendo costantemente il cervello a pelo di brentina. Gino Agnelli, poeta, ti insegna a tradurre il pavese in italiano esaurendo poderosi "volumi" di Redavalle. Alla terza damigiana ci sarebbe già l'editore. Puoi anche dispensare consigli, allora. Maneggia la bottiglia con la circospezione di chi sposti un bucchero prezioso. Investi il cameriere con i tuoi stessi quarti di nobiltà ma troppo ignorante per sapere che una bottiglia di vino non è un'aranciata né una birra; che non si versa facendola glugluare, ma lentamente, così che non abbiano a sollevarsi le feci posate sul fondo. Impedisci a chiunque di riempirti il bicchiere rimasto a mezzo dopo l'ultima mescita: non vale dire che, tanto, è lo stesso vino: ogni bottiglia infatti ha una sua anima. Da come tratta la bottiglia, prima e durante la mescita, induci la cultura enoica del tuo ospite. Molta gente crede che bastino i quattrini per bere bene: si può bere anche male con vino ottimo, benché sia assiomatico e inevitabile il bere male con vino cattivo.
Risiedi a lungo in Francia e scopri l'organizzazione, la quale non può essere inciviltà. (…) Essi fanno il vino con una tecnica insigne: spinta all'eccesso, lo priva tuttavia del suo carattere più sincero. Quando la tecnica di vinificazione è eccessiva, hai l'impressione, bevendo, di baciare una donna troppo truccata: sempre donna è, ma forse andrebbe meglio al naturale. Comunque, non esageriamo: una Venere priva di tecnica e di pulizia può disgustarti, così come ti può attirare una racchietta che almeno sia brava e pulita.
Impari in Francia che il sommelier è un'istituzione in decadenza ma ancora viva. (…) Scopri che cambiar vino non è un pericolo, bensì una necessità se non proprio un dovere. (…) Si cambia qualità di vino per ogni cibo: agli antipasti, bianco secco freddo; per certi patés (terrines maison) buono anche il bianco con una vena di dolce, come l'hanno i bordolesi. E qui ricordo con orgoglio pane, salame e moscato delle mie colline (…).
Sul pesce e sui frutti di mare, ancora bianco. Sulle rane -piatto forte pavese- bianco secco se sono fritte, barbacarlo o barbera se sono in guazzetto. Sulle lumache alla bourguignonne, nessuno ti vieta di preferire il rosso allo chablis o al pouilly; sulle lumache in guazzetto, come si fanno da noi, lascia dire i cerebrali e bevi rosso: polenta e vino bianco sono di accostamento difficile, a meno che non si tratti di Cinque Terre (…).
Sulla carne, vino rosso e mai freddo. Qualcuno ostenta di pasteggiare a champagne: se ti accorgi che lo fa per strabiliare, digli che sa di turacciolo: non si merita altro.
Non ti formalizzare ai nomi né alle etichette: meglio un onesto plebeo di un nobile degenerato. Così, non spasimare sugli anni di cantina: certe solenni sturate sanno di liturgia e meritano rispetto: ma il vino, come le donne, è buono all'età giusta.
I francesi parlano di parfum per i bianchi e di bouquet per i rossi. Non siamo tanto pignoli: diciamo che un vino è profumato, che ha un aroma, se ce l'ha. I cugini dicono anche chaud d'un vino forte, alto di gradazione; complet di un vino che ha tutti i requisiti del suo standard; dur di un vino duro, senza velluto, che manca di moelleux, di morbidezza; enveloppé, involuto, per dire che scappa in bocca, non ha corpo, non è rotondo né pieno; frais, cioè fresco, quando vi è armonia fra tenore alcolico, acidità ed estratto (componenti tannici, salini, sospensioni fecali ecc.); fruité, d'un vino che sa veramente di uva; sec. secco, detto dei bianchi; vert, acerbo, che allega i denti.
Noi definiamo i vini con gli stessi aggettivi e con qualche altro, come pulito, fluido, liscio, razzente, amaro, abboccato, vivo, molle, spento, maturo, giusto, focoso, vellutato, denso, pesante, dotato anzi affetto di retrogusti, compatto, sincero...
Si capisce che si può bere anche senz'avere precisa cognizione di tutto questo: ma allora non si ha nemmeno il merito degli animali, che si dissetano bevendo gratuita acqua. E chi beve per mero vizio di gola o con fini distorti, subito lo vedi: gluglueggia con l'epiglottide come le bottiglie mal inclinate alla mescita: per delicato e nobile che sia, il vino se lo pompa come un oscena, birra: e si nutre di quello come potrebbe un amante della poesia mandando a memoria una composizione in lingua sconosciuta: i soli suoni non bastano: e così le sorsate.
Il vino va odorato con un lieve moto circolare del bicchiere, che lo arrubini e appanni prima di ricomporsi. Poi lo si accosta lentamente alle labbra e si alza in modo che la lingua ne sia ragionevolmente bagnata: papille gustative, terminazioni nervose delle gengive e delle guance, palato, retrobocca danno la misura del gusto, dell'acidità, del vigore e di tutte le doti o difetti che ho enumerato più sopra. Ma quando si sia definita la classe del vino, allora non bisogna indugiare troppo. Le ingenue ragazzole che centellinano sorso a sorso lo champagne, trattenendolo in bocca al punto da annegare le papille, quelle sono le più facili a perdere la tramontana. Il bere deve essere lento e continuo, quasi a formare sulla minor porzione di lingua un ruscelletto fluido e costante: meno si spande per la bocca e meno i vino ubriaca. Per contro, i bevitori ingordi si sborniano grossolanamente; ubriacarsi è quasi sempre disdicevole; inebbriarsi può essere bello ma è ben presto vietato agli abitudinari; bere, senza affogare il cervello è piacere sottile e raro, da veri specialisti.
Tutto questo ho imparato girando il mondo e soltanto il mio fegato può trovarci a ridire. (…).
Riconosco ad esempio che molte nostre vigne potrebbero dare di meglio: però in materia di rossi. I nostri bianchi sono qui per essere provati: in Italia hanno forse raggiunto lo standard più alto. (…)
Sul rosso ho idee altrettanto perentorie: si faccia migliore il buono e si lasci correre in pipeline verso Milano il rozzo pinard di coloro che, poveracci, bevono anche per nutrirsi. (…)
I francesi, che hanno saputo organizzarsi prima, impongono l'appellation controlée ai vini di certa classe. E tutto il resto chiamano genericamente pinard o beaujolais, che da noi, in Lombardia, sarebbe il nostrano o addirittura il "trani". Anche dei nostri vini dovremmo controllare il tono e la marca, e andarne a cercare i nomi antichi, senza più ricorrere a prestiti artificiosi. L'abbiano portata i migratori del cielo o della terra, la vite cresceva da noi otto secoli prima che i romani si affacciassero in Val Padana. Se può bastare questo a darci il diritto di essere noi stessi vediamo di non regalare nulla a nessuno, magari illudendoci di prendergli qualcosa!
pensate sia necessario aggiungere altro?
6 commenti:
credevo che nel pantheon avessero accesso solo grandi pedatori, non giornalisti politici falliti... ti avevo dato un incarico per questa sera, spero che tu ti stia adoperando. Ne va della tua dieta
Buongiorno amici del TM.
Oggi è veramente un'impresa trovare 5 gladiatori per stasera.
Ma ce la farò... sarà una formazione molto rimaneggiata.
Voi? Come siete messi?
Contatterò Leo più tardi per aggiornare le vicende.
Lollo, anche noi siamo a rischio, speriamo bene. Altrimenti dovremo avvertire Amidi che fa bene a chiamarci ER SOLA...
che ci fa Bergomi nel Pantheon? Vende Souvenir?
tutto ok per stasera, siamo cinque. Niente sole. a più tardi.
"E qui ricordo con orgoglio pane, salame e moscato delle mie colline (…)" questo o è Bergomi o ada esse n frocio de'e parti der Sor Suke.
Pane e salame rigorosamente con la Vernaccia di Serrapetrona: 'gnurant!
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